Da gennaio 2024 le persone fisiche hanno la residenza fiscale in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 negli se l’anno e’ bisestile), hanno avuto in Italia, alternativamente:
- la residenza civilistica, ossia la dimora abituale; criterio invariato rispetto al passato;
- il domicilio, definito a questi fini ora come «il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari»
- la presenza fisica, tenuto conto anche delle frazioni di giorno;
- l’iscrizione anagrafica, che però diviene «presunzione semplice» anziché legale.
Per valutare il nuovo concetto di “domicilio (fiscale)”, si considerano le relazioni familiari e personali (per esempio la convivenza) e sociali (per esempio l’iscrizione a circoli culturali o circoli sportivi).
In passato invece era necessario valutare e considerare sia gli elementi personali che patrimoniali.
L’agenzia delle entrate, per quanto riguarda la nuova definizione di domicilio, nella circolare 20/E di quest’anno, spiega anche che sono lasciate aperte le valutazioni caso per caso. Viene portato ad esempio chi, iscritto all’Aire avendo cominciato a lavorare all’estero, mantenga a propria disposizione una casa in Italia, con le relative utenze, per trascorrervi i fine settimana o le vacanze.
Considerando che la casistica espressa e’ assolutamente frequente, penso che l’esempio portato dall’agenzia delle entrate sia a dir poco preoccupante anche se, in effetti, sempre secondo l’agenzia delle entrate, “nei casi in cui l’individuazione dello Stato in cui si concentrano le relazioni personali e familiari non sia immediata e il contribuente non sia presente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta, può essere utile accertare lo Stato in cui la persona permane prevalentemente”.
D’altro canto considerare una persona residente in un Paese solo perche’ ha in quello stato un immobile o, ancora peggio, ne ha la disponibilità sembra, essere contrario ai principi della libera circolazione di persone e capitali.
Venendo ora al concetto di frazione di giorno, si afferma che anche una sola ora passata nel territorio dello Stato equivale a giornata intera. Quindi la “giornata” fa cumulo con gli altri giorni per determinare se si sono trascorsi piu’ di 183 giorni in un anno in Italia.
Nella citata circolare 20/E si spiega che ci posso essere particolari situazioni per le quali, pur rimanendo una o comunque poche ore in Italia, la giornata non va considerata ai fini della determinazione o meno della residenza fiscale in Italia. Si porta ad esempio l’ipotesi di scalo aereo dovuto ad una coincidenza per recarsi in un Paese estero. Ci mancava solo che uno diventasse fiscalmente residente in Italia perche’ ha fatto anche scalo una volta in un aeroporto italiano.
Nel caso di smart working, il contribuente deve considerarsi residente nel luogo in cui si verificano i requisiti di residenza, domicilio e permanenza, come sopra spiegati, senza considerare la residenza del datore di lavoro o del committente.
Concludo dicendo che:
- la circolare 20/E mette in evidenza come il fenomeno di doppia residenza fiscale puo’ essere risolto grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni e
- rimane invariata la presunzione «relativa» di residenza in Italia per i cittadini italiani che si sono cancellati dalle anagrafi della popolazione residente per trasferirsi in Stati black list.
Casale Monferrato, li’ 18 novembre 2024